Studi Cognitivi Firenze
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Acceptance and Commitment Therapy

Acceptance and Commitment Therapy e Terapia Cognitivo-Comportamentale a confronto: una revisione della letteratura Luca Calzolari e Giulia Fioravanti

Nonostante negli ultimi dieci anni sia stato condotto un numero considerevole di studi che hanno mostrato l’efficacia dell’Acceptance and Commitment Therapy per il trattamento di un’ampia varietà di problemi psicologici, rimane ancora controverso e aperto il dibattito circa le evidenze empiriche di tale trattamento e su ciò che lo differenzia dalla Terapia Cognitivo-Comportamentale. Obiettivo del presente lavoro è quello fornire un contributo teorico su tale tema, presentando una revisione degli studi che hanno messo a confronto l’Acceptance and Commitment Therapy e la Terapia Cognitivo-Comportamentale. Quindici studi sono stati identificati tramite una ricerca sugli archivi elettronici PubMed e Scopus condotta a Novembre 2014. Sono stati inclusi nella rassegna gli studi che hanno confrontato trattamenti di tipo individuale per disturbi d’ansia e dell’umore. Non emergono differenze rilevanti tra il trattamento cognitivo-comportamentale e l’Acceptance and Commitment Therapy in termini di efficacia di esito a breve termine, misurata attraverso la riduzione sintomatologica e il miglioramento del funzionamento globale. Alcune differenze sembrano emergere nella valutazione a lungo termine. Più controversi i risultati relativi ai mediatori di efficacia dei due trattamenti: sebbene alcuni studi evidenzino che i due trattamenti producono cambiamenti terapeutici attraverso processi diversi, altri rilevano dei processi di mediazione simili.

Parole chiave: Acceptance and Commitment Therapy, Terapia Cognitivo-Comportamentale, review, efficacia, processi di mediazione

 

INTRODUZIONE

La terza ondata della Terapia Cognitivo-Comportamentale

Negli ultimi quindici anni abbiamo assistito, all’interno della terapia cognitivo-comportamentale, all’emergere di nuovi modelli, ascrivibili a quella che viene definita “terza ondata”. Focus di questa nuova “onda” non è più il cambiamento diretto degli elementi psicologici ma la modificazione della relazione che l’individuo ha con essi. Si tratta di una rivoluzione profonda all’interno del paradigma cognitivo comportamentale, nel quale la sofferenza non viene più spiegata come frutto di un errore di valutazione della realtà esterna ma come una difficoltà a regolare i propri stati emotivi. Un cambiamento dettato da un problema clinico: l’intervento su stati mentali non modificabili attraverso l’azione sulle credenze (Ruggiero, 2011). Terza ondata, quindi, nata come risposta alternativa, laddove interventi cognitivi di ristrutturazione non erano sufficienti a portare un miglioramento sintomatologico (Longmore e Worrel, 2007), e sviluppata recuperando alcuni principi comportamentali con l’obiettivo di aiutare il soggetto ad avere un atteggiamento mentale diverso rispetto ai propri stati problematici. Invece di centrare il lavoro terapeutico nella modifica sistematica della loro frequenza, il focus viene diretto verso il cambiamento del contesto nel quale pensieri ed emozioni sono esperiti. E’ in quest’ottica che vedono la luce programmi di ricerca sperimentale come la Relational Frame Theory (Hayes, Barnes-Holmes e Roche, 2001), utilizzata come guida per lo sviluppo dell’Acceptance and Commitment Therapy (Hayes et al., 2006)

 

La Terapia Cognitivo-Comportamentale e l’Acceptance and Commitment Therapy 

La Terapia Cognitivo-Comportamentale è diventata nel tempo la terapia elettiva per una ampia gamma di disturbi che vanno da quelli ansiosi, ai disturbi dell’umore, alla schizofrenia ed ai disturbi di personalità (Butler, Chapman, Forman e Beck, 2006). Come molti autori hanno evidenziato è difficile poter dare una definizione unitaria di questo modello poiché tante sono le prospettive teoriche, i principi e le tecniche che possono esservi incluse (Craske, 2010; Hayes, 2008; Herbert e Forman, 2012). In quest’ottica la Terapia Cognitivo-Comportamentale può esser meglio vista come basata su un approccio scientifico alla psicoterapia e alla psicopatologia che ha unito modelli coerenti tra loro (Ruiz, 2012). Nonostante questa premessa di eterogeneità all’interno della Terapia Cognitivo-Comportamentale, possiamo sottolineare come l’elemento comune sia l’enfasi verso la modalità con cui il soggetto attribuisce senso e significato alla propria esperienza soggettiva e, di conseguenza, il riconoscimento della variabile cognitiva come centrale nella spiegazione della sofferenza psicologica. Assumono così un ruolo fondamentale per l’origine dei disturbi emotivi e comportamentali, le rappresentazioni soggettive della realtà da parte dell’individuo. Il focus dell’intervento sarà quindi diretto all’indagine sistematica delle rappresentazioni che precedono e seguono uno stato emotivo problematico e alla loro modifica attraverso le tecniche di ristrutturazione cognitiva (Beck, 1976). Gli interventi nella terapia cognitivo-comportamentale si basano sull’uso di numerose tecniche finalizzate a modificare comportamenti, emozioni e cognizioni non funzionali e derivano dall’integrazione del modello cognitivo con il paradigma comportamentale.

L’Acceptance and Commitment Therapy è un modello di psicoterapia incluso in quella che viene definita “la terza ondata” della terapia cognitivo-comportamentale (Hayes, 2004). La base teorica su cui poggia è la Relational Frame Theory, un programma di ricerca sulle modalità di funzionamento della mente umana (Hayes, Barnes-Holmes e Roche, 2001). L’assunto centrale nella Relational Frame Theory è che per analizzare qualsiasi comportamento umano è necessario considerare il contesto relazionale all’interno del quale il comportamento si attua. Queste relazioni, o frame, costituiscono il nucleo centrale del linguaggio, permettendoci di apprendere senza il bisogno dell’esperienza diretta. La Relational Frame Theory riconosce come spesso i pensieri funzionino come se fossero ciò che dicono di essere (Backledge, 2007). Ad esempio “sono un incapace” può mettere il soggetto nella situazione di dover affrontare il mondo dell’essere incapace invece che il pensiero di essere incapace. All’interno di tale ottica, quindi, nell’Acceptance and Commitment Therapy, l’obiettivo principale è quello di indebolire la tendenza umana ad usare la concettualizzazione verbale, attraverso la costruzione di accessi diretti all’esperienza (Bertinelli, 2013).

Emerge chiaramente come il focus si sia spostato dai contenuti ai processi mentali, differenza centrale nonché spartiacque tra la seconda e la terza ondata della psicoterapia cognitivo-comportamentale. Nell’Acceptance and Commitment Therapy acquisisce un ruolo fondamentale il concetto di dolore e di sofferenza psicologica. Ciò che la produce non è il contenuto cognitivo in sé ma tutte le azioni che mettiamo in atto per evitarlo (evitamento esperienziale). Ecco quindi come in questo modello viene sottolineato il ruolo della sofferenza come naturale compagna della vita di ogni persona e come la psicopatologia nasca dall’identificazione con quel dolore e dal conseguente tentativo di sbarazzarsene (Harris, 2010). Uno dei processi fondamentali nell’ Acceptance and Commitment Therapy è sicuramente la defusione cognitiva che viene impiegata quando il soggetto è eccessivamente fuso con i contenuti di un determinato pensiero facendosi guidare da essi nelle proprie scelte e decisioni (Barcaccia, 2012). Attraverso un cambiamento di prospettiva nei confronti dei propri contenuti mentali, si aiuta il paziente a diventare un “osservatore” dei pensieri che abitano la propria mente.

Nonostante negli ultimi dieci anni sia stato condotto un numero considerevole di studi che hanno mostrato l’efficacia dell’Acceptance and Commitment Therapy per il trattamento di un’ampia varietà di problemi psicologici (Hayes et al., 2006; Ruiz, 2010), rimane ancora controverso e aperto il dibattito circa le evidenze empiriche di tale trattamento e su ciò che lo differenzia dalla Terapia Cognitivo-Comportamentale. In tal senso nella letteratura scientifica si ritrovano studi volti ad indagare la maggior efficacia di un modello rispetto all’altro sia in termini generali sia in relazione a specifici disturbi, ponendo inoltre una particolare attenzione allo studio dei processi di cambiamento coinvolti nei due trattamenti.  Ruiz (2012) ha condotto una interessante meta-analisi degli studi (N=16) che hanno confrontato l’Acceptance and Commitment Therapy e la Terapia Cognitivo-Comportamentale evidenziando come l’Acceptance and Commitment Therapy produca esiti migliori (effect size Hedge’s g=0.40) e agisca attraverso differenti processi di cambiamento rispetto alla Terapia Cognitivo-Comportamentale.

 

Obiettivi

Partendo dalla review di Ruiz del 2012, obiettivo del presente lavoro è quello di presentare una revisione della letteratura che ha messo a confronto l’Acceptance and Commitment Therapy e la Terapia Cognitivo-Comportamentale (estendendo il lavoro di Ruiz fino ad oggi) e di sviluppare, sulla base dei risultati ottenuti dagli studi presi in considerazione, delle riflessioni teoriche sui possibili punti di contatto dei due trattamenti discutendone le implicazioni cliniche.

 

METODO

I principali studi che hanno messo a confronto l’Acceptance and Commitment Therapy e la Terapia Cognitivo-Comportamentale sono stati identificati tramite una ricerca sugli archivi elettronici PubMed e Scopus condotta a Novembre 2014 utilizzando le seguenti parole chiave: Acceptance and Commitment Therapy   AND cognitive behavioral therapy.  E’ stata inoltre condotta una ricerca manuale esaminando l’elenco delle voci bibliografiche degli articoli selezionati per la review. Gli studi sono stati inseriti nella review secondo i seguenti criteri di inclusione: articoli in lingua inglese o italiana pubblicati su riviste peer-reviewed che confrontassero l’Acceptance and Commitment Therapy e la Terapia Cognitivo-Comportamentale, sia come protocollo, sia in relazione a specifiche tecniche terapeutiche dei due approcci, rispetto a misure di efficacia di esito e di processo. Gli studi per essere inclusi dovevano inoltre confrontare trattamenti di tipo individuale (terapie di gruppo e di auto-aiuto sono state escluse) per disturbi d’ansia e dell’umore.

 

RISULTATI

La ricerca bibliografica sugli articoli elettronici ha prodotto 200 voci, fra le quali sono stati individuati 34 studi che mettevano a confronto l’Acceptance and Commitment Therapy e la Terapia Cognitivo-Comportamentale. Di questi 19 sono stati esclusi perché non rispettavano i criteri di inclusione. La Tabella 1 sintetizza le caratteristiche e i risultati dei 15 studi inclusi nella review. Di questi 12 sono studi randomizzati controllati. Due studi hanno messo a confronto interventi brevi (costituiti da una singola seduta). Nove studi si sono focalizzati sui disturbi d’ansia, uno studio sulla depressione, e cinque studi su disturbi d’ansia e/o depressivi.

Per quanto riguarda i disturbi d’ansia, Twohig et al. (2010) hanno confrontato, tramite l’implementazione di uno studio randomizzato controllato, otto sedute individuali di Acceptance and Commitment Therapy con altrettante sedute di rilassamento progressivo in un campione di 79 pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo. L’Acceptance and Commitment Therapy ha prodotto una maggior riduzione della gravità del disturbo ossessivo-compulsivo (outcome primario), misurata tramite la Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale (Goodman et al., 1989), nel post-treatment e nel follow up a 3 mesi rispetto al training di rilassamento progressivo. Uno studio più recente (Fabricant, Abramowitz, Dehlin e Twohig, 2013) ha messo a confronto una singola seduta di Acceptance and Commitment Therapy con una singola seduta di esposizione nel trattamento delle ossessioni (N=56) non rilevando differenze significative tra i due trattamenti nella riduzione dei sintomi ossessivi a distanza di una settimana. Il cambiamento nelle credenze disfunzionali è risultato predire la riduzione delle ossessioni sia nel trattamento con l’Acceptance and Commitment Therapy sia nel trattamento con esposizione. Craske et al. (2014) hanno messo a confronto 12 sedute individuali di Terapia Cognitivo-Comportamentale e di Acceptance and Commitment Therapy in un campione di pazienti (N=87) con diagnosi di fobia sociale, rilevando l’assenza di differenze significative nell’outcome (riduzione dei sintomi) tra i due tipi di trattamento sia a breve termine sia nel follow up ad 1 anno. Un recente studio condotto da Niles e collaboratori (2014) in un gruppo di 50 pazienti con ansia sociale, finalizzato a valutare i possibili mediatori dell’esito di due trattamenti – Acceptance and Commitment Therapy   e Terapia Cognitivo-Comportamentale – ha evidenziato come una diminuzione nell’evitamento esperienziale -ipotizzato essere un meccanismo di cambiamento dell’Acceptance and Commitment Therapy- mediava la riduzione della sintomatologia nell’ Acceptance and Commitment Therapy  ma non nella Terapia Cognitivo-Comportamentale mentre una diminuzione dei pensieri negativi- ipotizzato essere un mediatore di outcome della Terapia Cognitivo-Comportamentale – prediceva un miglioramento dei sintomi in entrambi i trattamenti. Arch et al. (2012) hanno condotto uno studio randomizzato controllato confrontando 12 sedute di Acceptance and Commitment Therapy con altrettante sedute di Terapia Cognitivo-Comportamentale in un campione di pazienti affetti da diversi disturbi d’ansia (N=128). Entrambi i trattamenti hanno prodotto miglioramenti nelle variabili di outcome nel post-treatment senza differenze statisticamente significative tra i due. Tuttavia nel follow-up a 12 mesi l’Acceptance and Commitment Therapy produceva un miglioramento più ampio nella gravità dei sintomi rispetto alla Terapia Cognitivo-Comportamentale (effect size d =1.26). Sempre a 12 mesi dalla fine del trattamento i pazienti che erano stati trattati con l’Acceptance and Commitment Therapy mostravano livelli più bassi di evitamento esperienziale mentre i pazienti trattati con Terapia Cognitivo-Comportamentale mostravano una miglior qualità della vita. Gli stessi autori, in uno studio successivo (Arch et al., 2012), hanno condotto delle analisi di mediazione per valutare la relazione tra i cambiamenti seduta per seduta nella anxiety sensitivity e nella defusione cognitiva e le misure di outcome nel post-treatment. Entrambi i mediatori (anxiety sensitivity e defusione cognitiva) cambiavano significativamente in entrambi i trattamenti, tuttavia l’Acceptance and Commitment Therapy produceva miglioramenti più elevati nella defusione cognitiva rispetto alla Terapia Cognitivo-Comportamentale, mentre la anxiety sensitivity risultava ridotta in egual modo in entrambe le condizioni di trattamento. La defusione cognitiva mediava significativamente la riduzione del rimuginio, dell’evitamento, della depressione e l’aumento della qualità della vita in entrambe i trattamenti. La anxiety sensitivity aveva un ruolo di mediazione solo nella riduzione del rimuginio in entrambi i trattamenti. Un risultato interessante è che la defusione cognitiva prediceva più fortemente la riduzione del rimuginio nella Terapia Cognitivo-Comportamentale rispetto all’ Acceptance and Commitment Therapy, suggerendo che, anche se la defusione cognitiva non è un elemento esplicitamente discusso nel modello cognitivo-comportamentale, questo processo sembra comunque verificarsi ed essere responsabile dei cambiamenti prodotti dalla Terapia Cognitivo-Comportamentale in egual misura o ad un livello maggiore che nell’Acceptance and Commitment Therapy. Complessivamente i risultati dello studio mostrano che l’Acceptance and Commitment Therapy e la Terapia Cognitivo-Comportamentale sembrano funzionare tramite simili processi di mediazione. Infine, uno studio di moderazione condotto dallo stesso gruppo di ricerca in un campione di 87 pazienti (Wolitzky-Taylor, Arch, Rosenfield e Craske, 2012), ha evidenziato che la Terapia Cognitivo-Comportamentale otteneva risultati migliori nelle variabili di outcome nei pazienti con un livello iniziale di anxiety sensitivity moderato e senza disturbi dell’umore in comorbidità mentre l’Acceptance and Commitment Therapy  produceva risultati migliori nei pazienti con un disturbo dell’umore in comorbidità. Uno studio appena pubblicato (Davies et al., 2015) condotto su un campione di 60 pazienti con diagnosi di disturbi d’ansia, è emerso come l’Acceptance and Commitment Therapy produceva risultati migliori della Terapia Cognitivo-Comportamentale per quei pazienti con un alto livello di evitamento delle sensazioni fisiche.  Infine Hayes-Skelton, Roemer e Orsillo (2013) hanno confrontato 16 sedute di Acceptance and Commitment Therapy con altrettante sedute di rilassamento in un campione di pazienti con Disturbo d’Ansia Generalizzata (N=81) rilevando come i due trattamenti fossero equivalenti nel produrre e nel mantenere i miglioramenti terapeutici.

Per quanto riguarda la depressione un solo studio randomizzato controllato è stato condotto da Zettle e Hayes nel 1986 mettendo a confronto 12 sedute di Acceptance and Commitment Therapy con altrettante sedute di Terapia Cognitivo-Comportamentale in un campione di 18 pazienti. L’Acceptance and Commitment Therapy produceva riduzioni più grandi rispetto alla Terapia Cognitivo-Comportamentale nei sintomi depressivi al post-treatment e al follow up di 2 mesi, misurati attraverso il Beck Depression Inventory (Beck, 1967) e la Hamilton’s Depression Scale (Hamilton, 1960).

Due studi randomizzati controllati hanno confrontato l’efficacia dell’Acceptance and Commitment Therapy versus la Terapia Cognitivo-Comportamentale nel trattamento di sintomi relativi alla depressione e/o all’ansia. Lappalainen et al. (2007) hanno messo a confronto 10 sedute individuali di Acceptance and Commitment Therapy e di Terapia Cognitivo-Comportamentale (N=28).  I partecipanti che erano stati trattati con l’Acceptance and Commitment Therapy mostravano un miglioramento dei sintomi, misurati tramite il Global Severity Index della Symptom Check List-90 (Derogatis, 1983), maggiore rispetto ai pazienti trattati con Terapia Cognitivo-Comportamentale sia nel post-treatment che nel follow-up a 6 mesi (effect size Acceptance and Commitment Therapy: pre-post d = 1.11, pre-follow-up d = 1.04 vs effect size Terapia Cognitivo-Comportamentale: pre-post d = 0.36, pre-follow-up d = 0.28). Il miglioramento sintomatologico ottenuto con l’Acceptance and Commitment Therapy correlava con la diminuzione dell’evitamento esperienziale in maniera più consistente rispetto a quello ottenuto con la Terapia Cognitivo-Comportamentale.  Forman et al. (2012) hanno valutato l’efficacia a lungo termine dell’Acceptance and Commitment Therapy e della Terapia Cognitivo-Comportamentale in un campione di pazienti con disturbi depressivi e ansiosi (N=132) trattati con una media di 17 sedute individuali. Come già riferito in un precedente studio condotto con un minor numero di partecipanti (Forman et al., 2007), i due trattamenti risultavano efficaci in maniera equivalente nella riduzione dei sintomi depressivi e ansiosi e nel miglioramento del funzionamento globale e della qualità della vita al post-treatment. I cambiamenti prodotti dall’Acceptance and Commitment Therapy correlavano con una diminuzione dell’evitamento esperienziale e con un aumento dell’accettazione mentre i cambiamenti ottenuti con la Terapia Cognitivo-Comportamentale correlavano con un aumento delle capacità di osservazione e di descrizione, misurati attraverso il Kentucky Inventory of Mindfulness Skills (Baer, Smith e Allen, 2004). Tuttavia i miglioramenti valutati nel follow-up a 18 mesi erano mantenuti in misura maggiore nei pazienti trattati con Terapia Cognitivo-Comportamentale rispetto a quelli trattati con l’Acceptance and Commitment Therapy, soprattutto per quanto riguarda i sintomi depressivi e il funzionamento generale. Uno studio di mediazione condotto successivamente dallo stesso gruppo di ricerca (Forman et al. 2012), valutando i dati raccolti seduta per seduta, ha mostrato che un aumento nell’utilizzo delle strategie di cambiamento dei pensieri e delle emozioni (e.g. disputing e ristrutturazione dei pensieri disfunzionali) era un mediatore del miglioramento sintomatologico nei pazienti trattati con Terapia Cognitivo-Comportamentale mentre un aumento nelle strategie di accettazione (e.g. accettazione dei pensieri e delle emozioni) mediava il miglioramento nei pazienti trattati con l’Acceptance and Commitment Therapy, suggerendo che i due trattamenti producono cambiamenti terapeutici attraverso processi diversi. Tuttavia una diminuzione dei pensieri disfunzionali, un aumento della capacità di vedere i pensieri come processi mentali e non come verità assoluta (i.e. la defusione cognitiva) e un incremento nell’impegnarsi in azioni e comportamenti diretti al raggiungimento di un obiettivo (nonostante la presenza di pensieri ed emozioni negative) mediavano la riduzione sintomatologica in entrambi i trattamenti. Infine uno studio di moderazione condotto da Juarascio, Forman e Hebert (2010) nel sottogruppo di pazienti che presentano psicopatologia alimentare in comorbidità con i disturbi d’ansia e depressivi, riporta che l’Acceptance and Commitment Therapy risultava superiore alla Terapia Cognitivo-Comportamentale nel ridurre i problemi del comportamento alimentare (effect size Acceptance and Commitment Therapy: pre to post-treatment Cohen’s d = 1.89 vs effect size Terapia Cognitivo-Comportamentale: d = 0.48).

 

DISCUSSIONE

Dai risultati degli studi valutati all’interno della presente review, non emergono differenze rilevanti tra il trattamento cognitivo-comportamentale e l’Acceptance and Commitment Therapy in termini di efficacia di esito a breve termine, misurata attraverso la riduzione sintomatologica e il miglioramento del funzionamento globale. Tale risultato è trasversale a tutti i disturbi considerati. Tuttavia si rilevano preliminari evidenze che associano all’Acceptance and Commitment Therapy il miglioramento di alcuni sintomi specifici come il rimuginio e l’evitamento esperenziale. Inoltre l’Acceptance and Commitment Therapy sembra produrre risultati più efficaci nel caso in cui sia presente comorbilità con un altro disturbo in Asse I.

Alcune differenze sembrano emergere nella valutazione a lungo termine (i.e. 12 mesi e 18 mesi): l’Acceptance and Commitment Therapy risulterebbe più efficace nel mantenimento della risoluzione dei sintomi ansiosi, mentre la Terapia Cognitivo-Comportamentale produrrebbe un maggior miglioramento a lungo termine dei sintomi depressivi e della qualità della vita. Tuttavia, poiché solo due studi hanno analizzato questo aspetto, è difficile poter trarre conclusioni certe ed ulteriori studi dovrebbero essere condotti per il confronto dell’efficacia a lungo termine di questi due trattamenti.

Più controversi i risultati relativi all’efficacia di processo e ai mediatori di efficacia dei due trattamenti. Sebbene alcuni studi evidenzino che i due trattamenti producono cambiamenti terapeutici attraverso processi diversi, e, nello specifico, la modifica di pensieri disfunzionali per la Terapia Cognitivo-Comportamentale e l’accettazione dei pensieri e delle emozioni nell’Acceptance and Commitment Therapy, altri rilevano dei processi di mediazione simili. In tal senso un ruolo centrale sembra essere svolto dalla defusione cognitiva, processo caratterizzante dell’Acceptance and Commitment Therapy, che tuttavia sembra essere responsabile del miglioramento sintomatologico anche nel trattamento cognitivo-comportamentale.

Da sottolineare alcuni limiti della presente review tra cui il numero relativamente esiguo di studi considerati. Inoltre campioni piccoli e centrati solo su alcuni disturbi limitano la generalizzabilità dei risultati. Ulteriori studi sono necessari soprattutto sull’efficacia di processo per poter delineare le implicazioni cliniche.

Nonostante i limiti precedentemente descritti, è possibile trovare negli studi presi in considerazione degli interessanti spunti di riflessione e di discussione rispetto all’ipotesi che meccanismi simili siano alla base dei due modelli. L’ Acceptance and Commitment Therapy concettualizza infatti la psicopatologia, utilizzando un linguaggio della terapia cognitivo- comportamentale, nei pattern di risposta alla sofferenza psicologica che il soggetto mette in atto. Ecco quindi che trova senso e significato, all’interno del modello cognitivo comportamentale, la distinzione del concetto di dolore che Harris (2010) utilizza per descrivere la psicopatologia nell’ Acceptance and Commitment Therapy. Viene distinto un “dolore pulito”, quello normalmente associato ad una esperienza negativa, da un “dolore sporco” che si riferisce alla sofferenza associata allo sforzo della mente per combattere ed eliminare una normale reazione emotiva spiacevole. Uno dei massimi punti di contatto tra i due modelli si colloca, quindi, nell’attenzione attribuita ai meccanismi di mantenimento – con il concetto di “dolore sporco” molto vicino a quello di problema secondario della terapia cognitivo comportamentale (Ellis,1962) – tranne poi differenziarsi in maniera molto sensibile per quello che riguarda l’intervento. Da terapie centrate su aspetti concettuali (terapia cognitivo-comportamentale tradizionale) a quelle meditative ed esperienziali (terza ondata), ovvero focalizzate sulla regolazione emotiva e non sui significati che hanno attivato quella determinata emozione.

La ristrutturazione cognitiva e la defusione cognitiva, tecniche centrali rispettivamente nel modello cognitivo comportamentale e nell’Acceptance and Commitment Therapy, vengono solitamente contrapposte in quanto la prima ha come obiettivo quello di modificare i pensieri mentre la seconda ha come finalità quella di accettarli. Secondo l’approccio dell’Acceptance and Commitment Therapy, la ristrutturazione cognitiva, focalizzandosi sui contenuti dei pensieri negativi, potrebbe addirittura intensificare lo stile di pensiero patologico (Eifert e Forsyth, 2005; Roemer e Orsillo, 2002). La defusione cognitiva viene proposta proprio con lo scopo di “aggirare” la trappola del rimuginio favorendo il distanziarsi dal significato letterale del pensiero e dal contenuto. Nella defusione cognitiva, infatti, “lo scopo è di modificare la funzione che i pensieri hanno, e non il loro contenuto. Non sono considerati delle ipotesi da sottoporre a verifica” (Barcaccia, 2012, p.155).  Tuttavia i meccanismi di azione di entrambe le tecniche potrebbero non essere così distinti poiché entrambe prevedono un processo di distanza critica dal pensiero (Yovel, 2014). Nel trattare i pensieri negativi come ipotesi e non come dati di realtà, la ristrutturazione cognitiva crea una distanza tra l’individuo e il proprio pensiero in un modo simile a quello prodotto dalla defusione cognitiva (Arch e Craske, 2008). Potrebbe quindi essere la presa di distanza dalle proprie esperienze interne un meccanismo che accomuna entrambi gli approcci (Teasdale et al., 2002).

Diverse tecniche cognitive, infatti, promuovono in maniera implicita la defusione cognitiva, come ad esempio l’automonitoraggio, favorendo la distanza critica dai pensieri negativi. Nonostante le diverse tecniche adottate dai due trattamenti per l’intervento sulla defusione cognitiva, un miglioramento in tale aspetto rappresenterebbe un elemento terapeutico chiave di entrambi gli approcci.  Inoltre, la defusione cognitiva risulta essere un processo fortemente implicato nella riduzione del rimuginio, dato questo estremamente interessante poiché coerente con l’obiettivo dei modelli di terza ondata di intervenire sui processi rispetto ai contenuti. Pazienti la cui sintomatologia è più centrata su aspetti processuali, ad esempio il rimuginio, rispondono meglio ad interventi focalizzati su quell’area psicopatologica, come la defusione.  Ulteriori studi sono necessari per capire rispetto a quali problematiche e a quali circostanze proporre la tecnica di intervento più efficace per la persona che abbiamo di fronte.

 

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